sabato 13 novembre 2010

Quando a diventare prete è una donna… What’s Up Incontra le uniche due donne italiane della Chiesa Vetero-cattolica ad essere ordinate presbitere

Teodora Tosatti e Maria Teresa Longhitano: due donne, due mogli, come molte, si direbbe. Due persone “normali” ma che dello standard di normalità hanno poco: i loro nomi corrispondono infatti alle uniche due donne italiane ad essere ordinate presbitere. Loro fanno parte della chiesa Vetero-Cattolica, una Chiesa che si professa cattolica ma che non fa parte giuridicamente del vaticano.
Dopo il non riconoscimento del dogma, promosso da Papa Pio IX, dell’infallibilità papale, nasce il vetero-cattolicesimo alla fine dell’ottocento da un gruppo di scissionisti che ha poi dato vita alla cd. “Unione Utrecht”.
La loro struttura è sinodale e quindi più “democratica” rispetto all’organizzazione gerarchica della Chiesa Cattolica- Romana e il loro è un approccio alla religione moderno, aperto e democratico: “La vera differenza reale con la Chiesa Romana è la prassi: noi viviamo avendo i preti sposati, le donne-prete e dando la comunione ai divorziati”. Questo ci dice la Longhitano durante un’intervista impossibile “estorta” su Via del Corso, mentre con una giornalista della BBC, cerchiamo di “braccare” la prima donna-prete mai ordinata in Italia! Lei è già una star e lo si capisce da come si concede disinvolta ai flash dei fotografi (piuttosto che ai microfoni dei giornalisti!) I fotografi invadono completamente il Centro Anglicano di cultura e, nell’attesa che la futura Madre Longhitano ci conceda un’intervista, noi troviamo anche Teodora Tosatti, il vero personaggio: è lei infatti la prima (in assoluto) “donna-prete” di nazionalità italiana ma che, venendo ordinata in Germania qualche anno fa, non ha ricevuto tutta l’attenzione mediatica della stampa nazionale, a differenza della sua “collega”.
“Immagino che lei non si aspettasse di trovare un’altra donna-prete!” Mi dice Teodora Tosatti mentre mi appresto ad entrare nel Centro Anglicano di Cultura in Piazza del Collegio Romano, nei pressi di Piazza Navona, dove di li a poco si sarebbe tenuta la tavola rotonda per discutere del “ministero ordinato femminile” alla presenza di Don Giovanni Cereti, teologo cattolico-romano, esperto di Ecumenismo e il Vescovo Fritz-René Muller, delegato per l’Italia della Conferenza Episcopale internazionale dell'Unione di Utrecht). La Chiesa Anglicana, in comunione con quella Vetero-Cattolica, ha deciso di ospitare la celebrazione dell’ordinazione presbiterale di Maria Vittoria Longhitano, l’evento di grandissimo impatto mediato per il nostro paese e che, chissà, forse aprirà un’importante discussione anche all’interno della Chiesa Romana.
Ma come in che cosa si differenzia il vetero-cristinesimo della Chiesa Cattolica-Romana? “Direi che quella dell’infallibilità papale - ci dice la Tosatti - e della giurisdizione universale del Papa è stata soltanto la causa scatenante. Il vetero-cattolicesimo, come dice il nome stesso “vecchi cristiani”, non significa conservatorismo (come ben vede!) ma ritorno alle fonti: riscoperta del Vangelo, riscoperta delle origini, non per applicarle in maniera pedissequa ma per trovare lo spunto per creare un cattolicesimo fedele, oggi. Una di queste cose è stata appunto dire non ha senso parlare di un’infallibilità papale e non ha senso dire che ci sia un'unica autorità, per giunta clericale, in tutto il mondo. Noi diciamo di tornare alla “vecchia-chiesa” dove laici e persona ordinate si ripartivano le responsabilità e tutte le altre cose che poi abbiamo fatto.
All’incontro con Teodora, mi rendo subito conto che non si tratta di una donna qualunque: energica e simpatica con una personalità di ferro, Madre Tosatti, passata silenziosamente ai microfoni della Stampa Nazionale, è convinta delle sue scelte e felice della sua vita, vissuta da moglie, mamma, studiosa…Dunque la domanda sorge spontanea: una donna realizzata come lei cosa ha da chiedere di più alla vita? Come fa a conciliare il suo lavoro, il suo impegno pastorale e la sua famiglia?
E lei mi risponde con una contro-domanda: “Mi perdoni, lei, se ci fossero dei preti sposati, lo chiederebbe ad un prete-maschio?” Mi dice sorridendo e mentre noi ammettiamo che esistono molti pregiudizi nei confronti delle donne che fanno molte cose nella vita, la brillante Madre Tosatti, continua a parlare di come nasce la sua vocazione: “Sono figlia di non credenti – ci rileva – e mi sono convertita che avevo quasi diciotto anni. E da allora ho sempre sentito un gran desiderio di vivere per la Chiesa. Poi ho girato un po’ perché naturalmente non è facile arrivare ad una chiesa poco conosciuta in Italia come la nostra, però ci sono arrivata”.
Ma quando ha sentito la famosa “chiamata” alla vocazione - eccepiamo noi - non poteva, più semplicemente, farsi suora? Cosa c’è di diverso, al di là del fatto di celebrare l’eucaristia, tra lei e una suora?
Lei dice “celebrare l’eucaristia”: non è uno scherzo! Una suora, normalmente, si occupa o di lavoro e preghiera o di preghiera e assistenza sociale. Io ho sempre sentito nella mia vita che il matrimonio faceva parte della mia vocazione, perché io ero “chiamata” in questo modo.
E che cosa cambierebbe se avesse la possibilità di entrare nelle gerarchie ecclesiastiche della Chiesa Cattolico-romana? “Il vaticano – afferma la Tosatti - si è messo da solo le catene, proprio quando ha stabilito il dogma dell’infallibilità papale perché adesso, qualsiasi cambiamento, anche piccolo, (si pensi ai preti sposati, che peraltro ci sono anche nella Chiesa Cattolica Romana ma di rito orientale e non di rito latino), sarebbe possibile ma con grandissime difficoltà. Ormai la chiesa cattolica di Roma si è data una sua struttura per cui anche una piccola crepa mette in crisi l’autorità dell’intero sistema.
Pretende di essere infallibili significa che una persona non può più permettersi di dire, “su questo ho sbagliato”.
Anche la Longhitano ha la sua personale critica indirizzata alla Chiesa Cattolica Romana: “Penso che ci sia bisogno di una riforma nella Chiesa Cattolica per inserire le donne nelle gerarchie ecclesiastiche e credo inoltre che sia necessario rendere “democratica” la Chiesa-romana, in modo da accettare le donne presbitere e i matrimoni tra i ministeri ordinati maschili e femminili. Il problema della Chiesa cattolica non è il celibato dei preti ma la sessuofobia, e cioè la concezione negativa del sesso: la pedofilia mette le radici in queste idee, di natura sociologica, e che si radicano nelle istituzioni “totali”, cioè nelle società che vogliono controllare. Queste istituzioni, per controllare, reprimono, per prima cosa, gli istinti sessuali. E allora è per questo che nelle “società-chiuse” si generano non solo queste perversioni ma anche l’omertà sui crimini che mira all’autoconservazione di tali società chiuse.
Le donne – continua la Longhitano durante la nostra intervista “on the road” - nella Chiesa sono una prevenzione contro la pedofilia: dove ci sono le donne e dove si c’è aperture e non c’è istituzione totale, gerarchia e monolitica e al contrario c’è dialogo e democrazia è difficile che si generino perversioni e, anche qualora dovessero generarsi, non ci sarà omertà e prevenzione dei pedofili ma condanna senza mezzi termini dei crimini.
Si parla anche della più recente cronaca politica in particolare degli effetti del disegno di legge sulle intercettazioni, sulla libertà di stampa. In particolare, ci soffermiamo su di una norma che prevede l’obbligo per il magistrato, che indaga o intercetta un uomo di Chiesa, ad avvisare la diocesi o la Segreteria di Stato vaticana: “Penso che qualunque Chiesa – afferma integerrima Madre Tosatti - dovrebbe essere felice che le cose che possono avvenire al suo interno, come fatti di tipo delittuoso, vengano alla luce del sole e vengano perseguiti dall’autorità Statale”. E mentre la Tosatti mantiene la denuncia sul generale, la Longhitano tuona: “Intanto questo accade solo in Italia per la posizione che ricopre la Chiesa cattolica romana. Per fortuna in Inghilterra questo non può succedere! Solo uno Stato Laico può garantire una libertà piena. Posso o non possono condividere il disegno di legge ma certamente posso dire che limita l’uguaglianza dei cittadini e delle cittadine. Non capisco perché un qualsiasi cittadino possa essere perseguito con facilità e un uomo di chiesa no.
E prima di salutare le due donne comuni ma “straordinarie” presbitere, chiediamo loro di lanciare un messaggio: Dico alle donne che leggono – ci dice salutandoci in Via del Corso Maria Vittoria Longhitano – che se dovessero sentire una vocazione forte al sacerdozio di non reprimerla e di non lasciarsi convincere che è una cosa negativa o irrealizzabile ma di cercare la volontà di Dio: faccio quindi un appello per le vocazioni! E la Tosatti? Qual è il suo messaggio o preferisce fare una denuncia? No, no, - ride la Tosatti - nessuna denuncia: voglio dire di avere coraggio: è la cosa più bella del mondo!

giovedì 23 settembre 2010

Cassazione: Commette reato di stalking chi parla male del suo ex al datore di lavoro

Il comportamento di chi, oltre a reiterate molestie telefoniche in danno dell’ex compagno, porti avanti aggressioni verbali alla presenza di testimoni e iniziative gravemente diffamatorie presso i suoi datori di lavoro per indurli a licenziarlo, integra il reato di “atti persecutori”, cd. “stalking” di cui all’art. 612-bis c.p. È questo il principio di diritto emesso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 34015 depositata il 21 settembre scorso. La vicenda ha come protagonista una donna, oggetto di continue telefonate e aggressioni verbali da parte del suo ex ragazzo, che non solo la offendeva in privato ma anche in pubblico, e in particolare davanti al datore di lavoro della donna con l’intento di determinarne il licenziamento della stessa.
In particolare, secondo quanto si apprende dalla sentenza di legittimità, il tribunale del riesame di Napoli, in seguito all’emissione da parte del gip della misura cautelare di cui all’art. 282-ter., c.p.p, consistente nel divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla donna, per la contestazione del reato di cui all’art. 612-bis del codice penale (atti persecutori, il cd. reato di “stalking”, introdotto nel nostro ordinamento con la legge 23 aprile 2009, n. 38 ), non ravvisando il compendio indiziario in materia di “stalking”, annullava l’ordinanza cautelare emessa dal Gip.
Secondo il Tribunale della libertà di Napoli, infatti, gli atti posti in essere dall’uomo (minacce di morte e diffamazione) non avevano la caratteristica della persecutorietà e non avevano l’avevano l’attitudine a generale uno stato di ansia tale da impedire alla donna la propria vita lavorativa e familiare. Su ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica, (che aveva eccepito l’illogicità della motivazione della sentenza del tribunale del riesame che da un lato confermava i comportamenti ingiuriosi e minacciosi ma dall’altro negava che questi avessero una qualche attitudine all’invasività nella vita della donna) la Corte di Cassazione, accoglieva le ragioni del PG, sottolineando la illogicità della decisione del tribunale del riesame, precisando che gli atti posti in essere dall’uomo (dalla lettura del capo di imputazione provvisorio, molestie telefoniche, squilli anche nel corso della notte e ricezione di sms, oltre alle ripetute aggressioni verbali alla presenza di testimoni e delle iniziative gravemente diffamatorie assunte presso i datori di lavoro per indurli a licenziarla) avevano l’attitudine di provocare sia un grave stato di ansia che il fondato timore per la propria incolumità e cioè “condotte alternative capaci di integrare il reato in discussione”.Visualizza la news su studiocataldi.it