domenica 2 dicembre 2012

Premio Siberene. Libera e Renato Cortese tra i premiati


Santa Severina, Premio Siberene: Renato Cortese e Don Ciotti, tra i premiati.

La passione civile di un uomo comune. “Il potere dei segni contro i segni del potere”.

“Per favore, smettiamola di parlare di società civile: ne parlano tutti. Preferisco che modifichiamo il nostro linguaggio. Non basta essere “civili”, preferisco che parliamo di una società civile e responsabile. C’è un furto di parole: tutti parlano di legalità e ci fanno i proclami. Dobbiamo testimoniare, testimoniare la legalità e la responsabilità con la coerenza dei gesti”. È con queste parole e con una carica di passione straripante che Don Ciotti esordisce nel suo intervento al Premio Siberene, il premio della città di Santa Severina che quest’anno è dedicato alle Istituzioni, alla Chiesa e alla Società civile per la stabilità e la sicurezza dello Stato.

Giunto alla diciannovesima edizione, il Premio Siberene, nato dall’idea della Proloco Siberene, rappresenta il riconoscimento a personalità che si sono distinte nei vari settori della società. Teresa Gallo, presidente della Proloco Siberene, introduce gli interventi di Don Serafino, biblista e vicario Episcopale per la cultura, Antonio Greco, commissario del Comitato Provinciale di Crotone della Croce Rossa Italiana, Renato Cortese, Primo Dirigente della Polizia di Stato. Quest’anno, tra i premiati, c’è anche Libera. Nessuno, però, sperava nella presenza di Don Ciotti. È stato corteggiato a lungo. L’organizzazione parla di due mesi di invio di e-mail. Quasi tutte inutili: Don Luigi si trova in Africa. Lui viene a sapere che verrà premiato Renato Cortese, l’uomo che ha contribuito all’arresto di Provenzano e sposta la partenza, stravolge i suoi piani: ci sarà. Non potrebbe non esserci. “Spero di non fare torto a nessuno se dico che non appena ho saputo che ci sarebbe stato Renato Cortese ho deciso di tornare dall’Africa”. Parla per un’ora ma i presenti hanno l’impressione che il suo intervento duri una manciata di minuti, tanta è la passione delle sue parole e dei suoi gesti. Don Tonino Bello, Paolo VI, Don Puglisi, Giovanni Paolo II nell’olimpo delle sue idee. Li cita spesso nel suo discorso ma niente ha il sapore della retorica. Tutto è sentito.

“Qui la 'ndrangheta non entra, recita una targa all’ingresso della sede del Comune di Santa Severina. Certo, ma da certi comuni, la mafia, deve uscire dalla porta principale”, spiega Don Ciotti quando parla di concretezza dei gesti e non solo dell’antimafia delle parole. “Libertà, dignità, pace, legalità, ne parlano tutti. Certe parole dobbiamo tenercele strette per non svuotarle del loro significato”, ammonisce Don Luigi che preferisce parlare di Gesù Cristo e non della Chiesa, strappando l’ennesimo applauso. Parla anche di antipolitica ma non incita ad un divorzio dalla società e dalla politica che deve essere intesa come servizio, la più grande forma di cartità, come diceva Paolo VI. Dopo un’ora di intervento, la premiazione. Don Ciotti viene circondato da tutti i rappresentanti locali di Libera che fanno a gara per mettersi accanto a lui.

Dopo la premiazione, mi avvicino, gli stringo la mano e tutto quello che avevo pensato di dirgli viene annullato da quella stretta. Tremo e non riesco a fare l’intervista e tutte le domande che volevo porgli. Parliamo. Spengo anche il registratore che avevo acceso prima di avvicinarmi. Non avrei voluto più lasciare quella mano grande e calorosa e quegli occhi pieni di comprensione. Solo certe persone possono lasciarti interdetta.

E prima di salutarlo, gli chiedo: “Don Ciotti, Dio è morto nelle carceri italiane, le carceri più sovraffollate d’Europa, dove la sopravvivenza è normalità, dove rieducare il detenuto, come vuole l’art. 27 della Costituzione, assume il tono di una barzelletta. Non c’è dignità in un metro quadrato…”

E lui: “Libera è un coordinamento di associazioni e il gruppo Abele lavora nelle carceri. Non dimenticare che molti familiari delle vittime innocenti della mafia vanno nelle carceri e ci sono anche molti progetti per le carceri dei minorenni. Recentemente mi sono occupato del problema dell’ergastolo per capire che senso ha questa pena se non si dà la possibilità alla persona di riabilitarsi”. “…e poi Don Ciotti, - gli dico - volevo parlarle di una cosa: c'è ancora una storia da raccontare, una storia di antimafia e di una vittima innocente che aspetta di essere ricordata. Non posso dirle altro”. “Fammi sapere – mi confida - chiama questo numero e io torno in Calabria”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/11/19/carceri-sovraffollate-e-detenuti-in-pessime-condizioni-denuncia-di-antigone/419147/