lunedì 21 novembre 2011

Celiachia e sacerdozio: questo matrimonio non s’ha da fare? - Vige ancora il divieto di ordinazione sacerdotale per i soggetti affetti da celiachia? E perché? - di Luisa Foti

Sei celiaco? Non puoi fare il sacerdote della Chiesa cattolica! No, non è una bufala ma una notizia che, a quanto pare, si apprende direttamente da Wikipedia, la libera enciclopedia in rete.
Questo è il caso del (presunto) divieto del sacerdozio per le persone affette da celiachia. Se infatti provate a scrivere su qualsiasi motore di ricerca la parola “celiachia”, tra i primi dieci risultati, sul monitor del vostro pc troverete la voce di Wikipedia che, dopo aver illustrato le caratteristiche generali della patologia, al paragrafo “risvolti psicologici”, inserisce queste parole prese direttamente da una fonte autorevole, una lettera circolare della Congregazione per la Dottrina della Fede. “I candidati al sacerdozio che sono affetti da celiachia (…), data la centralità della celebrazione eucaristica nella vita sacerdotale, - si legge dalla lettera circolare nella parte delle cd. “norme comuni” enunciate dopo le generali premesse sulla problematica - non possono essere ammessi agli ordini sacri”. E ancora, continuando a leggere, “i sacerdoti che abbiano sviluppato la celiachia dopo l'ordinazione e tutti i fedeli che hanno questa intolleranza alimentare possono usare un particolare tipo di ostie con una minima quantità di glutine (che da un lato permette la panificazione, dall'altro non compromette la dieta senza glutine)”.
Da queste poche righe, datate 9 giugno 1995, all’epoca in cui a capo della Congregazione vi era l’attuale Papa Ratzinger, emerge un generale divieto: le persone affette da celiachia non possono essere ammesse al sacerdozio e che, al contrario, chi sviluppa la malattia dopo l’ordinazione sacerdotale, avrà il solo beneficio di utilizzare delle specifiche ostie, con poco glutine, (si badi, non senza) in quanto è necessario permettere la panificazione. Senza panificazione, infatti, come emerge dalla lettera, la celebrazione eucaristica si deve ritenere “invalida”. La questione, sembra abbastanza chiara, disponendo questo divieto, forse discriminatorio, ma chiaro e categorico. Oltre alla Circolare del 1995, dopo varie ricerche, siamo riusciti a trovare un’altra lettera circolare (non citata da wikipedia), in cui lo Stesso Ratzinger, nel 2003 dà conto della questione della celiachia. L’approccio è diverso: non si parla più di divieto di ordinazione sacerdotale ma si invita ad “essere cauti” nell’ordinazione sacerdotale di persone affette da celiachia. Ma che cosa significa “essere cauti”? La Chiesa, in sostanza, si riserva di ammettere o meno agli ordini sacri i malati di celiachia. Ma su quali basi? Quindi non si tratterebbe più di un divieto generale? Ma come mai questa (presunta) discriminazione che si concretizza nella discrezionalità che esercita la Chiesa nell’ammettere o meno i celiaci al sacerdozio? Non potendo accontentarci delle due “diverse” circolari, e volendo quindi andare al fondo della questione (esiste ancora il divieto? È solo una scelta discrezionale della Chiesa? E perché?), decidiamo di telefonare al Vicariato di Roma e, dopo vari “passaggi telefonici”, arriviamo a parlare con un (misterioso) uomo della Congregazione per il Clero, un segretario amministrativo che, dichiarando di non conoscere il (presunto) divieto (“Non ne so niente”), cerca di rispondere, per cortesia alle nostre domande, pur tenendoci a precisare che in nessun modo le sue risposte devono essere considerate come date in rappresentanza della Chiesa Cattolica. “Discriminazione? Non si tratta di questo perché non esiste un generale diritto a diventare preti” – ci dice il nostro interlocutore con un accento francese e in perfetto italiano. È la Chiesa – continua - che chiama le persone che considera utili secondo i propri criteri. Io cerco di dare risposte logiche ad una questione che non conosco” - continua a dirci. “Nel passato, fino al 1983, chi aveva subito l’amputazione di un arto non veniva ammesso al sacerdozio. Ora le cose sono cambiate ma la Chiesa ha il potere di escludere coloro che non possono adempiere alla funzione eucaristica. Pertanto non esiste un diritto a diventare preti”. Sarà… ma noi continuiamo a chiederci il perché di tale differenziazione di trattamento: perché chi sviluppa la malattia prima del sacerdozio non può diventare sacerdote e chi invece la sviluppa dopo non potrebbe avere la possibilità di utilizzare delle ostie con poco glutine? Perché allora, invece di limitare la vocazione dei celiaci, non garantire, semplicemente, anche ai potenziali sacerdoti affetti da celiachia, delle ostie con poco glutine? Una cosa di difficile comprensione se si pensa che i principi ispiratori della Chiesa cattolica ma in generale della religione cristiana sono quelli della solidarietà, dell’accoglienza e dell’inclusione. Non sarà mica una questione di costi? – ci chiediamo “malignando” sulle ragioni del (presunto) divieto. Dai dati forniti direttamente dal sito di una comune società, la “Ars Nova” (www.arsnova.brescia.it) che, tra le altre merci, produce ostie per celiaci, emerge che un pacco di 100 ostie per celiaci costa circa 22 euro, comprese le spese di spedizione. Un costo notevole se si tiene presente che per fare 100 ostie tradizionali sono sufficienti 500 grammi di farina, quasi un litro d’acqua, un cucchiaio di olio e un pizzico di sale. Insomma, un vero business per i produttori. Non di certo per la Chiesa. Nell’attesa di contattare direttamente la Congregazione per la dottrina della Fede, rimaniamo con il dubbio: esiste ancora questo divieto? E perché?

sabato 9 aprile 2011

Lettera a Giulietto Chiesa di Luisa Foti

Caro Giulietto Chiesa,
sono una studentessa di giurisprudenza fuori sede, scrivo per un mensile per giovani, aspiro professionalmente a diventare una buona giornalista, ma umanamente ho tante altre aspirazioni e desideri tra cui quella di vivere, un giorno, in paese democratico nel vero senso che la parola democrazia significa e cioè governo del popolo e non “dittatura dei poteri forti” che veicolano l’informazione e l’opinione pubblica, dandoci una prospettiva distorta della società e l’illusione di essere tutti uguali.

Il 10 aprile anche io ho assistito alla proiezione di “Zero, inchiesta sull’11 settembre”. Non sono riuscita ad intervenire al dibattito ma solo a stringerle la mano per rinnovarle la mia stima. Avrei tanto voluto dire quello che penso e comunicare ai presenti le angosce che una ragazza di 23 anni prova nel vivere in una pseudo-democrazia, come l’Italia, paese letteralmente infestato da raccomandazioni, malavita e indifferenza. Purtroppo vivo in una società in cui la maggior parte dei miei coetanei dorme adagiata nella comoda realtà quotidiana senza porsi problemi; vivo in un tempo che rinnega gli ideali che nel ‘68 facevano muovere folle oceaniche di ragazzi che avevano voglia di lottare gratuitamente per idee pure come la giustizia sociale. Sono abbattuta per tutta questa indifferenza, ma non voglio tirarmi indietro, soprattutto di fronte ad un invito come il suo.

Spero davvero che il mio grido disperato di giustizia sociale non rimanga un mero sfogo senza eco e sono pronta a dare il mio contributo e cioè a “candidarmi” nella sua “lista” perché credo nel suo progetto!

“Qualcuno” scriveva che solo i sognatori riescono a fare cose concrete ed è per questo motivo che le scrivo e le confido i miei pensieri affinché anche io possa partecipare alla costruzione della “Città del Sole” dell’informazione.
Saluti,
Luisa Foti


Grazie Luisa,
abbiamo bisogno di questo spirito, che non è di rivincita ma che punta a ricostruire. Ci sono stati momenti peggiori di questo nella storia del nostro paese. Temo che verranno momenti assai duri nella storia del mondo. Occorrerà un vero esercito di persone capaci di pensare in termini di Bene Comune, cioè di democrazia. Bisogna preparare questo esercito di pace.
Cari saluti
Giulietto Chiesa