domenica 17 marzo 2013

ROMA: TORNANO A PROTESTARE I DIPENDENTI COCA COLA DI ORICOLA

AGENPARL) - Roma, 16 mar - Tornano a protestare i dipendenti dello stabilimento Coca-Cola di Oricola (Aq) a Roma contro i licenziamenti degli oltre 40 addetti della logistica dell’impianto abruzzese della multinazionale americana previsti dal piano di riorganizzazione aziendale. "Questo è il quarto Coca-Cola Day. Abbiamo avviato questo percorso da quando l'azienda ha comunicato una riduzione del personale, del tutto ingiustificata" - ha dichiarato Gianluca Desiderati del sindacato di base della Flaica Cub che ha organizzato il sit-in di protesta di oggi in Piazza del Pantheon. Il sindacalista denuncia la poca visibilità mediatica della protesta: "è più di un mese che abbiamo paralizzato l'impianto con scioperi continui senza sortire nessuno effetto perché quando parliamo di questi 'giganti' - dice riferendosi alla multinazionale - anche un mese di fabbrica ferma non ha nessun effetto". Secondo quanto fa sapere il sindacato, la Coca-Cola ha utilizzato leggi e contributi pubblici per impiantare i suoi stabilimenti in Abruzzo, sfruttando a titolo gratuito le risorse idriche. "Malgrado utilizzi l'acqua a titolo gratuito, malgrado siano stati presi degli impegni sul mantenimento occupazionale dei dipendenti, per una riduzione di fatturato minima, Coca-Cola ha deciso di chiudere anche l'ultimo stabilimento abruzzese" - continua il sindacalista. Non si tratta di veri e propri licenziamenti: "questi dipendenti andranno a fare lo stesso lavoro ma in cooperativa e verranno quindi precarizzati". "Siamo scesi in piazza - conclude Desiderati - perché qui parliamo dell'aspetto mediatico Coca Cola. Vogliamo portare questo a conoscenza dell'opinione pubblica". di Teresa Olivieri e Luisa Foti

CARCERI: ROMA, A REBIBBIA IL CONCERTO DEL MURO DEL CANTO

(AGENPARL) - Roma, 16 mar - Un concerto rock in un carcere. È successo ieri a Roma nel carcere di Rebibbia dove, in collaborazione con lo storico locale romano Traffic, è andato in scena il concerto della band folk rock “Il Muro del Canto”. Vestiti come sei picciotti siciliani, con tanto di coppola e rigorosamente in nero, il Muro Del Canto si esibisce cantando in dialetto romano rifacendosi alla tradizione popolare capitolina e alle immagini del narrato pasoliniano riprodotto con gli elementi tipicamente rock delle chitarre elettriche che si affiancano alle “struggenti” melodie della fisarmonica e della chitarra acustica. È la seconda volta che nel carcere di Rebibbia va in scena un concerto rock. Questa volta sul palco del teatro di Rebibbia è stato il turno del gruppo romano: “non c’è stato neanche il tempo di pensarci perché questa iniziativa non può che essere vista in modo positivo e così abbiamo accettato ben volentieri soprattutto per il discorso che ruota attorno ai disagi dei carcerati. Il Muro del Canto sente molto queste problematiche”, dice Ludovico Lamarra, bassista del Muro del Canto. “Per chi vive a Roma, Rebibbia, come istituzione carceraria, fa parte del vissuto di ognuno – dice Lamarra - Fa parte del tessuto sociale. È una fermata della Metro”. I detenuti del più grande carcere d’Europa, sono pronti: non capita tutti i giorni di ascoltare un concerto live da queste parti. Qui le giornate passano lisce, quasi tutte terribilmente uguali. Non sono in molti ad assistere all’evento ma quelli che ci sono, a giudicare dagli applausi e dai classici cori da concerto, si divertono parecchio. Qualcuno, però, se ne va. Non riesce a distrarsi, a spostare, per un attimo, l’attenzione su un evento fuori dal comune. Si apre spesso la porta d’ingresso del teatro: entra la luce, fuori è giorno e c’è chi preferisce godersi il cielo di marzo. Non è un concerto come tutti gli altri. Noi da una parte, i detenuti dall’altra. Non si capisce se per disposizioni “dall’alto” o per il casuale andamento delle cose. Intanto la musica parte e tutte queste differenze si allentano. Il concerto se lo godono tutti: liberi e non. Ma l’attenzione non può non finire sui disagi dei detenuti, costretti a sopravvivere in un istituto penitenziario che può contenere molto meno dei suoi attuali “abitanti”: “il punto è che c’è una istituzione che non funziona - ci dice Ludovico Lamarra - perché Rebibbia contiene il doppio dei detenuti che potrebbe contenere. Il dato è che l’istituzione funziona grazie alle persone che ci lavorano. Il fatto che il Traffic abbia proposto questo concerto e Rebibbia abbia accettato questo già di per se è un segno di speranza per chi sta qua”. Questo il loro messaggio di speranza. I loro pezzi, la loro musica. Sì, perchè durante il concerto nessuno di loro si è permesso di dire una parola. La cosa ci stupisce: “abbiamo avuto un approccio sobrio. Non volevamo fare quelli che arrivano e fanno il discorsetto. Chi siamo noi per farlo?” - conclude Lamarra. Il concerto dura quasi un’ora: L’ammazzasette, Ancora ridi, Maleficio, La spinta, alcuni dei pezzi proposti dalla band che esegue anche una cover del cantautore Stefano Rosso (e intanto er sole se nasconne), chiudendo il concerto con Luce Mia, il brano-manifesto del Muro del Canto. Noi usciamo, varcando i cancelli di Rebibbia. I detenuti tornano alla loro quotidianità che ha poco di normale e che dovrà fare i conti con gli tagli ultimi disposti, tra le altre cose, proprio per le attività culturali, ricreative, sportive, come fa sapere il garante dei detenuti Angiolo Marroni. “Se queste previsioni saranno confermate, - dichiara il garante - sarà una vera e propria mazzata ad una situazione che già è da emergenza nazionale, come certificato anche dall’autorevole Corte Europea per i Diritti dell’uomo. Su questa già drammatica situazione, si abbattono questi tagli che rendono, di fatto, sempre più inattuabile l’articolo 27 della Costituzione, che prevede che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbano tendere alla rieducazione del condannato”.

giovedì 14 marzo 2013

Giovedì 14 Marzo 2013 19:16 TOSSICODIPENDENZE: PROTESTA AL CAMPIDOGLIO DELLE COOPERATIVE SOCIALI/VIDEO Scritto da Fanì/Foti

(AGENPARL) – Roma, 14 mar – Le cooperative sociali tornano a protestare contro l’Agenzia capitolina sulle tossicodipendenze (ACT). Oggi pomeriggio in Campidoglio si sono riuniti gli operatori, i coordinatori, gli utenti per porre fine ad una situazione insostenibile e c’è anche la Comunità di Città della Pieve (Pg) a protestare contro l’amministrazione comunale del sindaco Alemanno. Parliamo con Vincenzo, che preferisce farsi chiamare Vincenzone. Lui è la storia della comunità, Prima utente, ora operatore della cooperativa sociale "il Cammino" che rivolge un invito al Sindaco: “Alemanno caccia li sordi. Non possiamo più pagare gli assistenti sociali e non riusciamo a mandare avanti la comunità. Questi sono disagi per noi operatori ma si ripercuotono sui ragazzi che stanno in terapia”. La comunità di Città della Pieve, vanta un credito dall’amministrazione romana di circa 350 mila euro: “rivolgo un invinto al Sindaco Alemanno – dichiara Massimo Nusca - affinché si assuma le sue responsabilità istituzionali e assuma un atteggiamento più morbido nei confronti delle cooperative”. 

giovedì 7 marzo 2013

Giovedì 07 Marzo 2013 10:56 PENSIONI: CORTE COSTITUZIONALE, TRATTAMENTO MINIMO COSTITUZIONALMENTE GARANTITO

(AGENPARL) – Roma, 07 mar - Il trattamento pensionistico minimo è costituzionalmente garantito. A ricordarlo è una sentenza della Corte Costituzionale depositata ieri (n. 33/2013). I giudici di Palazzo della Consulta hanno accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Appello di Genova, in materia di tutela della pensione minima, diritto costituzionalmente garantito dall'art. 38, comma 2 della Costituzione che recita “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. Tale tutela, secondo i giudici della Consulta, può essere attuata dal legislatore con lo strumento della deroga ai limiti di età ordinari previsti per ciascuna categoria di dipendenti pubblici. Il raggiungimento dei vari trattamenti pensionistici e dei benefici ulteriori rientra, invece, nella discrezionalità del legislatore non essendoci vincoli costituzionali in tal senso. In particolare, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 15nonies del d.lgs. 502/1992 e 16 del d.lgs. 503/1992 (nel testo vigente fino all’entrata in vigore dell'art. 22 della l. 183/2010): tali norme non permettevano al personale della dirigenza medica che aveva raggiunto il limite massimo di età per il collocamento a riposo, e cioè 65 anni ma senza aver raggiunto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo della pensione, di rimanere, su richiesta, in servizio fino al conseguimento di tale anzianità minima e, comunque, non oltre il settantesimo anno di età. Il giudice rimettete aveva censurato la normativa in esame per la violazione dell'art. 38, comma 2, e dell'art. 3, comma 1 (“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”). Accogliendo parzialmente la questione di legittimità costituzionale, in riferimento al solo parametro costituzionale dell’art. 38, comma 2, la Corte ha censurato la normativa in esame nella parte in cui non permetteva al dirigente medico di poter raggiungere il trattamento pensionistico minimo. Nella parte motiva della sentenza, la Consulta ha spiegato che “in ordine alla tutela del conseguimento del minimo pensionistico, l'orientamento di questa Corte è costante. Il problema di tale tutela è strettamente connesso a quello dei limiti di età; la previsione di questi ultimi è rimessa “al legislatore nella sua più ampia discrezionalità (sentenza n. 195 del 2000) e quest'ultima può incontrare vincoli - sotto il profilo costituzionale - solo in relazione all'obiettivo di conseguire il minimo della pensione, attraverso lo strumento della deroga ai limiti di età ordinari previsti per ciascuna categoria di dipendente pubblico”. La Corte ha poi sottolineato “la distinzione tra la tutela della pensione minima e l'intangibile discrezionalità del legislatore nella determinazione dell'ammontare delle prestazioni previdenziali e nella variazione dei trattamenti in relazione alle diverse figure professionali interessate. Mentre il conseguimento della pensione al minimo è un bene costituzionalmente protetto, altrettanto non può dirsi per il raggiungimento di trattamenti pensionistici e benefici ulteriori (ex plurimis, sentenza n. 227 del 1997)”. Tuttavia, - ha precisato la Corte – “anche la deroga ai limiti di età al fine del conseguimento del bene primario del minimo pensionistico incontra a sua volta dei limiti fisiologici. Questa Corte ha avuto modo di definirli come "energia compatibile con la prosecuzione del rapporto" (sentenza n. 444 del 1990), oltre al quale neppure l'esigenza di tutelare detto bene primario può spingersi. Nel tempo, detto limite fisiologico si è spostato in avanti, di modo che, mentre al 1989 (sentenza n. 461 del 1989) esso è stato individuato a sessantacinque anni, successivamente con la citata sentenza n. 444 del 1990 questa Corte ha affermato che "la presunzione secondo cui al compimento dei sessantacinque anni si pervenga ad una diminuita disponibilità di energia incompatibile con la prosecuzione del rapporto "è destinata ad essere vieppiù inficiata dai riflessi positivi del generale miglioramento delle condizioni di vita e di salute dei lavoratori sulla loro capacità di lavoro”. Dopo aver illustrato l’indirizzo giurisprudenziale già emerso con le sentenze citate, ha Corte infine ha rilevato che in ambito legislativo, però, “non ha fatto seguito un puntuale adeguamento delle diverse legislazioni di settore succedutesi nel tempo, per cui - anche per la fattispecie in esame - la permanenza in deroga fino al settantesimo anno di età al fine del conseguimento del diritto minimo alla pensione non era contemplata”.

martedì 5 marzo 2013

CONSIGLIO DI STATO: GIORGIO GIOVANNINI E' IL NUOVO PRESIDENTE

(AGENPARL) - Roma, 5 mar - C'erano tutte le più alte cariche dello Stato alla cerimonia di insediamento del nuovo Presidente del Consiglio di Stato Giorgio Giovannini. Classe 1943, laurea in giurisprudenza con lode alla Sapienza nel 1966, Consigliere di Stato dal 1974, Giovannini prende il posto del Presidente Giancarlo Coraggio, nominato lo scorso 28 gennaio giudice della Corte Costituzionale. La cerimonia, che segue alla nomina avvenuta durante il Consiglio dei Ministri del 21 dicembre scorso, si è aperta con le parole del Premier Mario Monti che ha parlato di una giustizia amministrativa che, se resa più "snella", può rappresentare lo strumento per condurre il Paese lontano dalla crisi. Il Presidente del Consiglio ha parlato di un giudice amministrativo al servizio dei cittadini e delle imprese che sappia essere all'altezza dei tempi che corrono, della dimensione europea e che interpreti l'atto amministrativo al di là dei vizi formali, "in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione", come vuole l'art. 97 della Costituzione. Dopo aver citato i provvedimenti legislativi adottati dal governo - i due decreti correttivi del codice del processo amministrativo e le leggi di prevenzione della corruzione - ha concluso con la convinzione che "il Consiglio di Stato saprà mantenere fede alle esigenze che il paese manifesta". La parola è poi passata al Presidente Giovannini che, dopo aver salutato tutte le più alte cariche istituzionali, si è rivolto al Presidente della Repubblica Napolitano illustrando la recente evoluzione del nostro sistema di giustizia amministrativa che ha rafforzato i mezzi di tutela giudiziaria contro le azioni illegittime della P.A. e contro l'inerzia della stessa. Due le parole chiave attraverso cui si è snodata la relazione del Presidente Giovannini: tempestività e qualità. Tempestività, perché la giustizia deve essere assicurata in tempi "ragionevoli", perché "una giustizia ritardata è una giustizia negata", e qualità che deve essere garantita dalla selettività dei procedimenti previsti per la nomina a magistrato ordinario e con il costante aggiornamento assicurato dall'Ufficio Studi. La qualità sarà assicurata, soprattutto, dall'indipendenza dei giudici, "talora messa in discussione - ha continuato il nuovo Presidente - anche a livello di opinione pubblica, dallo svolgimento a parte di attività politica o di incarichi amministrativi presso le pubbliche amministrazioni". Giovannini ha poi mostrato la ferma convinzione della necessità di istituire le Corti amministrative interregionali, "in modo da attuare un ulteriore avvicinamento della giustizia amministrativa al territorio", e l'opportunità di estendere l'attività consultiva del Consiglio di Stato agli atti legislativi del Parlamento e del Governo, "al fine di favorire la chiarezza, la completezza e l'organicità dei testi normativi, oggi spesso carenti sotto tali profili".
"Non credo che l'assunzione di un incarico di vertice in una delle magistrature comporti la necessità di dichiarazioni programmatiche. Occorre essere fedeli alla Costituzione, applicare la Legge, preservare la dignità e l'autorevolezza della funzione", ha affermato Giovannini, nelle sue conclusioni, lasciando da parte lo stato della giustizia amministrativa e riflettendo sul suo nuovo e prestigioso incarico istituzionale. "Occorre ribadire questi principi, semplici e forti, a maggior ragione in un momento storico in cui - attraverso campagne di opinione non sempre disinteressate - si dubita quasi della necessità della funzione giurisdizionale e si è spesso guardati con sospetto" ha spiegato Giovannini che, in conclusione, ha citato il famoso discorso di Bergamo con cui Silvio Spaventa nel 1880 aveva sostenuto l'introduzione di una sistema di giustizia amministrativa non per indebolire l'autorità dello Stato ma per accrescerla, "impedendo che si corrompano le nostre istituzioni, nelle quali solamente il popolo italiano, colla libertà, può raggiungere il suo maggiore benessere". "Si tratta di obiettivi e di valori - ha affermato il Presidente al termine della cerimonia - che a tanti anni di distanza restano pienamente validi, confermati dalla Carta Costituzionale. Essi disegnano il ruolo e le responsabilità connesse a noi magistrati amministrativi nel moderno Stato di diritto".