Caro Direttore,
(...) le scrivo a proposito del suo editoriale che sembra quasi
una coincidenza, un "cader sopra" un'altra cosa che stavo rileggendo
proprio in questi giorni.
"Quasi tutti i critici si sono soffermati sulla frase
finale del libro: 'cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo
all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio'. Dato che
sono le ultime righe, tutti hanno considerato questa come la
conclusione, la 'morale della favola'. Ma questo è un libro fatto a
poliedro, e di conclusioni ne ha un po' dappertutto, scritte lungo tutti
i suoi spigoli; e anche di non meno epigrammatiche o epigrafiche di
quest'ultima. Certo, se questa frase è capitata in fine del libro non è a
caso, ma cominciamo col dire che quest'ultimo capitoletto ha una
conclusione duplice, i cui elementi sono entrambi necessari: sulla città
d'utopia (che anche se non scorgiamo non possiamo smettere di cercare) e
sulla città infernale. E ancora: questo è solo l'ultima parte del
'corsivo' sugli atlanti del Gran Kan, per il resto piuttosto trascurato
dai critici, e che dal primo pezzo all'ultimo non fa che proporre varie
possibili 'conslusioni' a tutti il libro. Ma c'è anche l'altra via,
quella che sostiene che il senso di un libro simmetrico va cercato nel
mezzo: ci sono critici psicoanalitici che hanno trovato le radici
profonde del libro nelle evocazioni veneziane di Marco Polo, come un
ritorno ai primi archetipi della memoria; mentre studiosi di semiologia
strutturale hanno detto che è nel punto esattamenbte centrale del libro
che bisogna cercare: e hanno trovato un'immagine di assenza, la città
chiamata Bauci. Qui è chiaro che il parere dell'autore è di troppo: il
libro, come ho spiegato, si è fatto un po' da sé, ed è solo il testo
com'è che può autorizzare o escludere questa o quella lettura. Come
lettore tra gli altri, posso dire che nel capitolo quinto, che sviluppa
nel cuore del libro un tema di leggerezzza stranamente associato al tema
di città, ci sono alcuni dei pezzi che considero migliori come evidenza
visionaria, e forse queste figure più filiformi ('città sottili' o
altre) sono la zona più luminosa del libro.
Non saprei dire di più".
(...)
(...)
Grazie,
Luisa FotiGentile Luisa,
Grazie per la sua email e per avermi segnalato la riflessione di Calvino. Devo ammettere che l'aspetto che più mi ha colpito è quel richiamo al libro che si fa da sé, e che diventa autonomo a tal punto che l'autore ne è solo "un lettore tra gli altri". Un concetto già espresso da altri, scrittori, registi, artisti figurativi e astratti, ma che Calvino sintetizza in modo piuttosto efficace.
Un cordiale saluto,
Giovanni