martedì 11 novembre 2025

Bolivia, inizia l’era Paz

Dismessi gli abiti tradizionali dell’era Mas, Paz inaugura una nuova fase politica con l’apertura diplomatica verso gli Stati Uniti


Quella dell’8 novembre 2025 non è stata soltanto una cerimonia di giuramento, e lo si è capito dall’abbigliamento di Rodrigo Paz Pereira: davanti al Parlamento riunito in sesión de honor, il presidente eletto si è presentato in giacca e cravatta, e non con gli abiti tradizionali dei popoli originari a cui ci aveva abituati Evo Morales.
Ricevendo la fascia e la medaglia presidenziale dalle mani del suo vicepresidente Edman Lara, Paz ha voluto dare un segnale di cambiamento non soltanto nell’abbigliamento ma anche nei riferimenti identitari. Il millenario emblema della regione andina, la Chakana, è stato sostituito dal tradizionale stemma repubblicano durante il giuramento pronunciato nel nome di “Dios, patria y familia”, come a sottolineare una distanza profonda con la tradizione del Mas, più legata alla dimensione ancestrale – tutti ricordano il celebre giuramento di Evo Morales nel 2006 presso il sito archeologico di Tiwanaku, antico centro cerimoniale andino. Però, non tutti gli elementi rituali del passato sono stati abbandonati: dopo aver ricevuto i simboli di investitura militare da parte della Polizia e dell’Esercito, Paz ha accettato due bastoni di comando dalle comunità indigene, come previsto dalla Costituzione del 2009.
«Questa è la nuova Bolivia, che si apre al mondo. Mai più una Bolivia isolata, sottomessa a ideologie fallite», ha detto Paz, volendo inaugurare una stagione di profondo cambiamento politico ed economico dopo quasi vent’anni di governi di sinistra.
Il leader del Partito Democratico Cristiano (Pdc) di centrodestra – eletto al ballottaggio del 19 ottobre con il 54,9% dei voti, superando l’ex presidente Jorge “Tuto” Quiroga – ha promesso di guidare il Paese «con sobrietà, pragmatismo e rispetto per la democrazia», e ha definito il suo programma economico come un modello di “capitalismo per tutti”, basato su incentivi alle piccole imprese, riduzione dei dazi e maggiore apertura agli investimenti stranieri. Il nuovo presidente eredita un’economia fragile, segnata da carenza di dollari e carburante, inflazione superiore al 20% e un debito pubblico che ha raggiunto i 40 miliardi di dollari. Paz ha annunciato che «le politiche del passato hanno lasciato un’economia in rovina e uno Stato paralizzato», assicurando di voler «difendere i più umili» e rilanciare la crescita.
Gran parte del discorso pronunciato durante il giuramento si è trasformata in un’accusa alla vecchia amministrazione: «Ogni presente e futuro è migliore del passato. Supereremo quel passato di sventura che è stato generato per i boliviani. Abbiamo ricevuto un paese devastato, in bancarotta, senza riserve internazionali. Evo, Arce, dove sono il gas e il litio?
», ha denunciato Paz, accusando i suoi predecessori di aver sprecato le due più grandi ricchezze naturali del Paese, una passata e una potenziale.

E già domenica 9 novembre Paz ha annunciato la squadra di governo: i leader contadini e sindacali di un tempo sono stati rimpiazzati da uomini d’affari, funzionari, ed ex politici del periodo neoliberista. Saranno 15 i ministeri, quattro in meno rispetto alla precedente amministrazione di Luis Arce. Si tratta di un taglio inferiore a quanto ipotizzato, anche se Paz ha comunque scelto di sacrificare ministeri importanti come l’Ambiente e l’Industria mineraria.

Apertura internazionale e ritorno del dialogo con Washington
Uno dei primi atti del nuovo governo è stato il ripristino delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, interrotte nel 2008 dopo l’espulsione dell’ambasciatore americano da parte dell’allora presidente Morales. In un incontro con il sottosegretario di Stato Christopher Landau, Paz ha annunciato che i due paesi ristabiliranno rapporti «a livello di ambasciatori, come si sarebbe dovuto fare da sempre».
La Bolivia ha inoltre negoziato un pacchetto di aiuti da 3,1 miliardi di dollari con il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Interamericana di Sviluppo e la Banca di Sviluppo dell’America Latina. Alla cerimonia di insediamento hanno partecipato oltre 60 delegazioni internazionali, tra cui i presidenti Javier Milei (Argentina), Gabriel Boric (Cile), Daniel Noboa (Ecuador), Santiago Peña (Paraguay) e Yamandú Orsi (Uruguay). Presenti anche la vicepresidente della Commissione europea Teresa Ribera, il vicepresidente del Brasile Geraldo Alckmin e rappresentanti di Cina, Spagna e Unione Europea. La presenza di Boric e dei rappresentanti statunitensi è stata interpretata come un segnale di distensione regionale: le relazioni con il Cile erano infatti interrotte dal 1978 per la storica disputa sull’accesso al mare, mentre con Washington i rapporti erano gelidi da oltre quindici anni.
Sempre sul versante dei rapporti internazionali, la Bolivia è stata recentemente sospesa dall'Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA), dopo aver descritto Cuba, Venezuela e Nicaragua, i paesi che guidano l'organizzazione internazionale, come “antidemocratici”.

Crisi e fratture nel Movimento per il Socialismo
Mentre Paz consolida il suo nuovo governo, il Mas affronta una nuova crisi interna: la direzione nazionale del partito ha infatti espulso l’ex presidente Luis Arce, accusandolo di essersi appropriato dei contributi obbligatori versati dai funzionari pubblici e dai militanti del Mas. Secondo il leader del partito Grover García, Arce avrebbe trattenuto per tre anni i fondi destinati al movimento, depositandoli su conti personali.

Il ritorno sulla scena di Jeanine Áñez
A segnare ulteriormente la svolta politica del Paese è arrivata la decisione della Corte Suprema di Giustizia che ha annullato la condanna a dieci anni di carcere per l’ex presidente ad interim Jeanine Áñez, ordinandone il rilascio immediato. In prigione da più di quattro anni per il suo ruolo nella crisi del 2019 che portò alle dimissioni di Morales, Áñez sarà ora sottoposta a un processo “politico” – e cioè con juicio de responsabilidades, un giudizio con l’autorizzazione del Parlamento e la decisione della Corte Suprema di Giustizia, come previsto per i presidenti e le alte cariche dello Stato, e come richiesto dalla sua difesa. La decisione, basata su “violazioni del giusto processo”, è stata approvata da sette dei nove giudici dell’Alta Corte. La sua liberazione, avvenuta alla vigilia dell’insediamento di Paz, ha avuto un forte valore simbolico, sottolineando la rottura con il ciclo politico precedente e l’inizio di una nuova fase di riconciliazione nazionale.

Paz saprà conciliare crescita economica e giustizia sociale?

Con l’avvento di Rodrigo Paz, la Bolivia apre una nuova pagina della sua storia politica: un governo di centrodestra dopo due decenni di egemonia del Mas, un riavvicinamento con gli Stati Uniti e i paesi vicini, e la promessa di un modello economico più aperto e competitivo. Resta però incerto se questa nuova fase riuscirà a stabilizzare un paese ancora attraversato da crisi economiche e divisioni politiche profonde. La svolta liberale di Paz, se da un lato potrebbe attrarre investimenti e riavvicinare la Bolivia ai mercati internazionali, dall’altro rischia di riaccendere le tensioni sociali in un Paese dove disuguaglianze e povertà restano diffuse. Il Mas, pur indebolito dagli scandali e dal deterioramento economico degli ultimi anni, lascia un’eredità rilevante: la riduzione della povertà, l’inclusione politica dei popoli indigeni e la costruzione di un’identità plurinazionale che ha dato voce a una maggioranza a lungo esclusa. In definitiva, il futuro di Paz dipenderà anche dalla sua capacità di conciliare crescita economica e giustizia sociale.