venerdì 29 luglio 2016

In ricordo di Rocco Chinnici...

Il 29 luglio del 1983 veniva assassinato insieme alla sua scorta, Rocco Chinnici, il capo dell'ufficio Istruzione presso il tribunale di Palermo. Sono passati 33 anni e in pochi se ne ricordano. “Era il 29 luglio, un venerdì, ed erano passate da poco le otto del mattino. La notizia non ci mise molto a fare il giro della città. Una bomba potentissima era esplosa in Via Pipitone Federico (…) Davanti ai nostri occhi si parò un'immagine spaventosa. L'avrebbe sintetizzata bene, all'indomani, il quotidiano L'Ora, titolando a tutta pagina: “Palermo come Beirut”. Una macchina imbottita di tritolo era stata fatta saltare in aria con un telecomando a distanza, davanti al palazzo dove risiedeva Rocco Chinnici, il capo dell'Ufficio Istruzione”. Con queste parole, Angiolo Pellegrini, capitano dell'arma dei carabinieri negli anni '80 che lavorò a stretto contatto con Falcone, racconta nel suo libro “Noi, gli uomini di Falcone”, la morte di Rocco Chinnici, il magistrato che permise a Falcone e Borsellino di dichiarare guerra alla mafia attraverso una svolta nella modalità di indagine. Fu Chinnici ad inventarsi il “pool”, un gruppo di magistrati che avrebbero condiviso le informazioni e che avrebbero, soprattutto, combattuto questa guerra aggredendo i patrimoni criminali, nella consapevolezza che bisognasse indebolire anche economicamente la mafia per eliminarla. Il pool era una idea molto innovativa negli anni in cui non esistevano ancora le procure antimafia, istituite in seguito solo nel 1991. Pellegrini incontrava Chinnici ogni mattina e benché collaborasse con Falcone, gli piaceva fermarsi a salutare quel magistrato che gli ricordava suo padre: “dietro quel volto compassato, da magistrato tutto d'un pezzo si nascondevano tanto calore umano e tante energie, a volte, anche inaspettate per un uomo della sua età”, scrive Pellegrini “in quegli incontri mattutini davanti a una tazzina di caffè, c'era molto di più di un confronto professionale”. “Capitano, si tenga pronto, sto per disporre l'arresto dei Salvo. I tempi sono ormai maturi”, disse Chinnici al Capitano Pellegrini che rimase spiazzato perché sapeva che “chi tocca i Salvo Muore”. Questo si diceva negli ambienti investigativi e per questo Angiolo Pellegrini raccomandò prudenza a Chinnici per evitare le conseguenze di una indagine contro gli esattori di Salemi, così come venivano chiamati Ignazio e Nino Salvo. Dopo pochi giorni arrivò quel maledetto 29 luglio 1983. Sì, perché la mafia ammazzava davvero solo d'estate. Fu la prima autobomba, di una lunga serie, purtroppo. “Quel giorno, - scrive Pellegrini - Palermo e la Sicilia appresero una parola fino ad allora sconosciuta: “autobomba”. Ci vollero 17 anni e due processi pieni di depistaggi prima di arrivare alla verità: la morte di Chinnici era stata la punizione che la mafia aveva voluto infliggere a Chinnici per aver osato indagare sui democristiani esattori di Salemi. Dopo 33 anni il connubio mafia-politica rimane inalterato ma Chinnici, così come tutti i coraggiosi uomini che hanno lottato e continuano a lottare contro al mafia, sono vivi più che mai nei loro insegnamenti. In una nota intervista rilasciata a Pippo Fava, lo scomodo cronista e intellettuale eliminato allo stesso modo dalla mafia, lasciò il suo testamento spirituale: “parlare ai giovani, alla gente, raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi (...) fa parte dei doveri di un giudice. Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai. (…) La mafia è stata sempre reazione, conservazione, difesa e quindi accumulazione della ricchezza. Prima era il feudo da difendere, ora sono i grandi appalti pubblici, i mercati più opulenti, i contrabbandi che percorrono il mondo e amministrano migliaia di miliardi. La mafia è dunque tragica, forsennata, crudele vocazione alla ricchezza. (...) La mafia stessa è un modo di fare politica mediante la violenza, è fatale quindi che cerchi una complicità, un riscontro, una alleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere”.

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