giovedì 24 settembre 2015

Riprende il Processo Condor - Il caso Bellizzi e la testimonianza di Almada il maestro combattente che scoprì gli archivi del terrore

Riprende il processo Condor: è il giorno della deposizione di Martin Almada, il maestro combattente che scoprì gli archivi del terrore, i documenti che provano il collegamento delle giunte militari per la eliminazione fisica degli oppositori politici alle dittature latinoamericane.
Secondo Almada, i documenti provano che “gli ordini partivano direttamente da Washington” e
Martin Almada
chiama in causa l’allora segretario di Stato Kissinger, mente dell’operazione, Pinochet, che aveva il compito di eliminare tutti i comunisti, e Banzer, dittatore Boliviano, che doveva ripulire le gerarchie ecclesiastiche dai fermenti progressisti della teologia della liberazione.
Il Plan condor ha “eliminato le frontiere per eliminare la gente che la pensava diversamente” dice perentoriamente davanti alla giuria popolare Almada, nel tentativo di dare una definizione efficace a ciò che è stata questa enorme operazione militare.
Il maestro, divenuto poi anche avvocato, durante la deposizione ha raccontato della sua vita, di come si laureò in scienze dell’educazione e della sua attività politica, finalizzata a migliorare le condizioni di lavoro e di salario dei maestri del Paese. Per questo motivo venne preso di mira dalla giunta militare del Paraguay: venne arrestato senza garanzie, torturato e portato in un posto chiamato “il sepolcro dei vivi” dove si rese subito conto che i torturatori venivano da diversi paesi dell’America Latina. È lì che scoprì l’esistenza del piano: “siamo nelle grinfie del Condor”, gli disse un detenuto, ex appartenente della polizia segreta. Racconta di quando scoprì quegli archivi: “era il 22 dicembre del 1992” - dice con una certa solennità, aggiungendo con grande precisione anche l’orario: “erano le undici del mattino”.
Andres Humberto Bellizzi Bellizzi
Piange al ricordo della moglie, suicidatasi, secondo la versione della giunta militare, ma che morì in circostanze non chiarite, così come Andres Bellizzi, il grafico uruguaiano, scomparso in Argentina dove si era trasferito per lavoro e mai ritrovato. A testimoniare sul suo caso c’è la madre novantenne, Maria Bellizzi, calabrese, nata a San Basile, in provincia di Cosenza, nel 1924. Bellizzi venne arrestato una prima volta nel 1974 ma venne rilasciato immediatamente, per poi essere arrestato nuovamente nel corso di una manifestazione a Buenos Aires contro la dittatura in Uruguay e questa volta di lui si persero le tracce. Era il 19 aprile 1977: è questo l’ultimo giorno in cui sua madre ricevette sue notizie e, ad oggi, il corpo di Bellizzi non è mai stato ritrovato.

Maria e Silvia Bellizzi
Domani riprenderanno le udienze e oltre alla sorella di Andres, Silvia Bellizzi, verranno sentiti Roger Rodriguez, giornalista uruguaiano che si batte da anni per disvelare gli orrori delle dittature e Genenieve Jeanningros, suora che ha vissuto la violenza del regime di Videla. Si procederà anche per la scomparsa di Marta Landi e Alejandro Logoluso, le altre vittime italo-argentine, militanti della gioventù universitaria peronista.

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