domenica 18 ottobre 2015

I conflitti irriducibili: quella volta che Rodriguez fece tremare la Corte d'Assise di Roma - La testimonianza di Roger Rodriguez al Processo Condor

Roger Rodriguez si trova nell’aula dei testimoni. È appena arrivato in Italia per testimoniare al processo Condor e per raccontare in Italia che cosa è stata quella brutta pagina della storia del popolo latino-americano: è seduto e ripassa i suoi appunti. Attorno a lui, tutti gli altri testimoni che quel giorno verranno interrogati sulla scomparsa di Andres Bellizzi.
Esperto del piano Condor, l'uruguajano Rodriguez è uno di quei giornalisti che nel tempo ha raffinato così tanto la sua ricerca da diventare uno studioso di diritti umani, pur rimanendo sempre un grande narratore degli anni della dittatura: "io sono contemporaneo ai fatti in causa" dice alla giuria e al Pm che lo interroga circa la sua attività: "sono stato processato dal tribunale militare diverse volte" -continua a raccontare il giornalista, spiegando come grazie al suo lavoro investigativo moltissimi casi irrisolti abbiano trovato la verità nell'attesa di avere, un giorno, giustizia.
Rodriguez ha dei documenti unici, documenti che proverebbero l'accordo tra le giunte militari di tantissimi paesi del Sud America per la lotta contro la "paura rossa", attraverso la eliminazione fisica degli attivisti.
La testimonianza di Rodriguez è fissata per il 24 settembre ma, quel giorno, non potrà farlo: le parti hanno perso molto tempo per una questione sull’inversione dell’ordine delle testimonianze e per un processo per omicidio che ha fatto slittare di molte ore l’inizio delle deposizioni.
Se ne parla il giorno dopo: è il 25 settembre e, dopo la suora giostraia francese, Genevieve Jeanningross, sopravvissuta al regime di Videla, è il turno del giornalista uruguajano.
Ha l’espressione dura e gli occhi piccoli e svegli, è stanco e arrabbiato per l'attesa. Si presenta alla giuria e inizia a raccontare. In aula sono presenti anche Silvia e Maria Bellizzi, la sorella e la madre di Andres Bellizzi: quel giorno si indaga sul suo caso, sulla sua scomparsa.
Così come capita a tutti i testimoni che presi dal racconto di ciò che hanno vissuto, hanno la tendenza ad andare oltre ciò che viene chiesto, il giudice deve circoscrivere, deve frenare le emozioni, deve limitare ciò che il racconto suscita nelle menti perché  “questo non è un tribunale politico”, come si sente spesso dalla bocca del presidente. “Non possiamo acquisire questi documenti. Non ci interessano”, continua il Presidente del collegio giudicante Evelina Canale. Ma qui Rodriguez non ci sta e insiste, cercando di convincere il Presidente ad acquisire quei documenti e lo fa con un discorso e delle parole che sono destinate a rimanere impresse nelle menti di tutti quelli che quel giorno erano seduti in quell’aula. Ed è qui, nell'insofferenza di Rodriguez e nel suo discorso che prende forma lo scontro di sempre, quello tra un ordine naturale e una legge formale che impedisce che quel tribunale diventi il tribunale della Storia: “Signor Giudice, signori della giuria - afferma Rodriguez - ho percorso 15.000 chilometri per venire qui, ho portato dei documenti, documenti ufficiali che non avete, io vi chiederei che me li lasciassero consegnare, io capisco che nel caso Bellizzi Bellizzi il primo imputato, Contreras, è già morto, sembra strano continuare un processo per una persona morta, però per noi che non abbiamo potuto seguire il percorso della Giustizia in Uruguay, né in Argentina, per i casi come quello di Bellizzi, l’accumulo di informazioni, anche se questo non è un processo storico, è parte della lotta di persone come Maria Bellizzi o Silvia Bellizzi, che hanno già fatto la loro deposizione qua, e si sono sentite molto ferite perché sono state maltrattate, sono venute qua e gli è stato chiesto che in dieci minuti raccontassero quarant'anni di lotte (...) la scorsa notte io sono stato a parlare con loro ed entrambe piangevano: Maria Bellizzi ha 91 anni e sono 40 anni che lotta per suo figlio, non mi pare una cosa buona che questi documenti che non vengano accettati per il semplice fatto che il caso Bellizzi sarebbe già stato chiuso (...) Maria Bellizzi ieri è comparsa per la prima volta davanti a una Corte e anche lei ha percorso 15.000 chilometri (...) Siamo grati allo Stato italiano perché sta concedendo un po’ di giustizia che lei non ha mai avuto, per questo io insisto: lasciatemi consegnare i documenti, non perché voi accusiate o condanniate ma perché in un posto esista la documentazione che possa dimostrare che Bellizzi è una vittima di un crimine disumano. Ve ne sarei molto grato”. 
Se non fosse stato pronunciato in un'aula di tribunale, quel discorso avrebbe fatto scattare un lungo applauso: nei volti di tutti si legge approvazione, emozione e soddisfazione. Quelle parole hanno toccato il cuore e Maria e Silvia Bellizzi hanno il volto segnato da una commozione composta che vorrebbe però sfogarsi in un pianto a dirotto, un pianto lungo 40 anni. Nessuno era riuscito a rendere giustizia ad Andres Bellizzi così come aveva appena fatto Rodriguez con quel discorso accorato ma deciso, determinato e pieno d'amore per la giustizia. Nell'attesa della reazione del collegio, tutti sono timorosi per le eventuali conseguenze che potrebbe subire Rodriguez: sono state parole forti contro la conduzione di un giudizio intransigente sugli elementi considerati "ultronei" al processo e alle condanne degli imputati. I giudici fanno qualche minuto di pausa. Al rientro, il Presidente dice semplicemente che quegli atti potranno essere acquisiti, laddove tradotti. Il processo continua, la legge naturale, la legge della Giustizia che va oltre la forma, sopravvive.




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