domenica 17 marzo 2013

CARCERI: ROMA, A REBIBBIA IL CONCERTO DEL MURO DEL CANTO

(AGENPARL) - Roma, 16 mar - Un concerto rock in un carcere. È successo ieri a Roma nel carcere di Rebibbia dove, in collaborazione con lo storico locale romano Traffic, è andato in scena il concerto della band folk rock “Il Muro del Canto”. Vestiti come sei picciotti siciliani, con tanto di coppola e rigorosamente in nero, il Muro Del Canto si esibisce cantando in dialetto romano rifacendosi alla tradizione popolare capitolina e alle immagini del narrato pasoliniano riprodotto con gli elementi tipicamente rock delle chitarre elettriche che si affiancano alle “struggenti” melodie della fisarmonica e della chitarra acustica. È la seconda volta che nel carcere di Rebibbia va in scena un concerto rock. Questa volta sul palco del teatro di Rebibbia è stato il turno del gruppo romano: “non c’è stato neanche il tempo di pensarci perché questa iniziativa non può che essere vista in modo positivo e così abbiamo accettato ben volentieri soprattutto per il discorso che ruota attorno ai disagi dei carcerati. Il Muro del Canto sente molto queste problematiche”, dice Ludovico Lamarra, bassista del Muro del Canto. “Per chi vive a Roma, Rebibbia, come istituzione carceraria, fa parte del vissuto di ognuno – dice Lamarra - Fa parte del tessuto sociale. È una fermata della Metro”. I detenuti del più grande carcere d’Europa, sono pronti: non capita tutti i giorni di ascoltare un concerto live da queste parti. Qui le giornate passano lisce, quasi tutte terribilmente uguali. Non sono in molti ad assistere all’evento ma quelli che ci sono, a giudicare dagli applausi e dai classici cori da concerto, si divertono parecchio. Qualcuno, però, se ne va. Non riesce a distrarsi, a spostare, per un attimo, l’attenzione su un evento fuori dal comune. Si apre spesso la porta d’ingresso del teatro: entra la luce, fuori è giorno e c’è chi preferisce godersi il cielo di marzo. Non è un concerto come tutti gli altri. Noi da una parte, i detenuti dall’altra. Non si capisce se per disposizioni “dall’alto” o per il casuale andamento delle cose. Intanto la musica parte e tutte queste differenze si allentano. Il concerto se lo godono tutti: liberi e non. Ma l’attenzione non può non finire sui disagi dei detenuti, costretti a sopravvivere in un istituto penitenziario che può contenere molto meno dei suoi attuali “abitanti”: “il punto è che c’è una istituzione che non funziona - ci dice Ludovico Lamarra - perché Rebibbia contiene il doppio dei detenuti che potrebbe contenere. Il dato è che l’istituzione funziona grazie alle persone che ci lavorano. Il fatto che il Traffic abbia proposto questo concerto e Rebibbia abbia accettato questo già di per se è un segno di speranza per chi sta qua”. Questo il loro messaggio di speranza. I loro pezzi, la loro musica. Sì, perchè durante il concerto nessuno di loro si è permesso di dire una parola. La cosa ci stupisce: “abbiamo avuto un approccio sobrio. Non volevamo fare quelli che arrivano e fanno il discorsetto. Chi siamo noi per farlo?” - conclude Lamarra. Il concerto dura quasi un’ora: L’ammazzasette, Ancora ridi, Maleficio, La spinta, alcuni dei pezzi proposti dalla band che esegue anche una cover del cantautore Stefano Rosso (e intanto er sole se nasconne), chiudendo il concerto con Luce Mia, il brano-manifesto del Muro del Canto. Noi usciamo, varcando i cancelli di Rebibbia. I detenuti tornano alla loro quotidianità che ha poco di normale e che dovrà fare i conti con gli tagli ultimi disposti, tra le altre cose, proprio per le attività culturali, ricreative, sportive, come fa sapere il garante dei detenuti Angiolo Marroni. “Se queste previsioni saranno confermate, - dichiara il garante - sarà una vera e propria mazzata ad una situazione che già è da emergenza nazionale, come certificato anche dall’autorevole Corte Europea per i Diritti dell’uomo. Su questa già drammatica situazione, si abbattono questi tagli che rendono, di fatto, sempre più inattuabile l’articolo 27 della Costituzione, che prevede che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbano tendere alla rieducazione del condannato”.

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