giovedì 7 marzo 2013

Giovedì 07 Marzo 2013 10:56 PENSIONI: CORTE COSTITUZIONALE, TRATTAMENTO MINIMO COSTITUZIONALMENTE GARANTITO

(AGENPARL) – Roma, 07 mar - Il trattamento pensionistico minimo è costituzionalmente garantito. A ricordarlo è una sentenza della Corte Costituzionale depositata ieri (n. 33/2013). I giudici di Palazzo della Consulta hanno accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Appello di Genova, in materia di tutela della pensione minima, diritto costituzionalmente garantito dall'art. 38, comma 2 della Costituzione che recita “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. Tale tutela, secondo i giudici della Consulta, può essere attuata dal legislatore con lo strumento della deroga ai limiti di età ordinari previsti per ciascuna categoria di dipendenti pubblici. Il raggiungimento dei vari trattamenti pensionistici e dei benefici ulteriori rientra, invece, nella discrezionalità del legislatore non essendoci vincoli costituzionali in tal senso. In particolare, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 15nonies del d.lgs. 502/1992 e 16 del d.lgs. 503/1992 (nel testo vigente fino all’entrata in vigore dell'art. 22 della l. 183/2010): tali norme non permettevano al personale della dirigenza medica che aveva raggiunto il limite massimo di età per il collocamento a riposo, e cioè 65 anni ma senza aver raggiunto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo della pensione, di rimanere, su richiesta, in servizio fino al conseguimento di tale anzianità minima e, comunque, non oltre il settantesimo anno di età. Il giudice rimettete aveva censurato la normativa in esame per la violazione dell'art. 38, comma 2, e dell'art. 3, comma 1 (“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”). Accogliendo parzialmente la questione di legittimità costituzionale, in riferimento al solo parametro costituzionale dell’art. 38, comma 2, la Corte ha censurato la normativa in esame nella parte in cui non permetteva al dirigente medico di poter raggiungere il trattamento pensionistico minimo. Nella parte motiva della sentenza, la Consulta ha spiegato che “in ordine alla tutela del conseguimento del minimo pensionistico, l'orientamento di questa Corte è costante. Il problema di tale tutela è strettamente connesso a quello dei limiti di età; la previsione di questi ultimi è rimessa “al legislatore nella sua più ampia discrezionalità (sentenza n. 195 del 2000) e quest'ultima può incontrare vincoli - sotto il profilo costituzionale - solo in relazione all'obiettivo di conseguire il minimo della pensione, attraverso lo strumento della deroga ai limiti di età ordinari previsti per ciascuna categoria di dipendente pubblico”. La Corte ha poi sottolineato “la distinzione tra la tutela della pensione minima e l'intangibile discrezionalità del legislatore nella determinazione dell'ammontare delle prestazioni previdenziali e nella variazione dei trattamenti in relazione alle diverse figure professionali interessate. Mentre il conseguimento della pensione al minimo è un bene costituzionalmente protetto, altrettanto non può dirsi per il raggiungimento di trattamenti pensionistici e benefici ulteriori (ex plurimis, sentenza n. 227 del 1997)”. Tuttavia, - ha precisato la Corte – “anche la deroga ai limiti di età al fine del conseguimento del bene primario del minimo pensionistico incontra a sua volta dei limiti fisiologici. Questa Corte ha avuto modo di definirli come "energia compatibile con la prosecuzione del rapporto" (sentenza n. 444 del 1990), oltre al quale neppure l'esigenza di tutelare detto bene primario può spingersi. Nel tempo, detto limite fisiologico si è spostato in avanti, di modo che, mentre al 1989 (sentenza n. 461 del 1989) esso è stato individuato a sessantacinque anni, successivamente con la citata sentenza n. 444 del 1990 questa Corte ha affermato che "la presunzione secondo cui al compimento dei sessantacinque anni si pervenga ad una diminuita disponibilità di energia incompatibile con la prosecuzione del rapporto "è destinata ad essere vieppiù inficiata dai riflessi positivi del generale miglioramento delle condizioni di vita e di salute dei lavoratori sulla loro capacità di lavoro”. Dopo aver illustrato l’indirizzo giurisprudenziale già emerso con le sentenze citate, ha Corte infine ha rilevato che in ambito legislativo, però, “non ha fatto seguito un puntuale adeguamento delle diverse legislazioni di settore succedutesi nel tempo, per cui - anche per la fattispecie in esame - la permanenza in deroga fino al settantesimo anno di età al fine del conseguimento del diritto minimo alla pensione non era contemplata”.

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