martedì 1 luglio 2025

El Funky, il rapper trumpiano che ha rischiato di essere deportato a Cuba

L’artista smentisce chi lo accusa di non essere un vero oppositore del regime castrista e continua a credere nel sogno americano: «Ho fiducia in questo governo»

di Luisa Foti

“Ho 30 giorni per lasciare il paese altrimenti sarò deportato. Chiedo aiuto a tutti i miei fratelli cubani che conoscono il mio percorso anticomunista e ai membri del Congresso di questo Paese. Oggi più che mai ho bisogno del vostro sostegno”.

L’8 maggio scorso sulla sua pagina Instagram, El Funky, rapper e oppositore politico del regime cubano residente negli Stati Uniti dal 2021, pubblica una richiesta di aiuto: secondo la nuova e durissima politica migratoria statunitense, l’ufficio per la cittadinanza e l’immigrazione gli ha rigettato la richiesta di residenza permanente.

Tantissimi i commenti al post: in molti lo attaccano per aver supportato l’attuale presidente repubblicano – “Hai votato Trump, ora tieniti Trump!” – ma arrivano anche i messaggi di sostegno e solidarietà. Tutti insistono su un punto: El Funky, in quanto dissidente del regime castrista, non può essere deportato perché rischierebbe la vita: «È la cosa peggiore che gli possa capitare», spiega in un video un supporter dell’artista, mentre fa un appello, tra gli altri, a María Elvira Salazar, parlamentare repubblicana, figlia di esuli cubani e vicina alla causa del rapper, e Marco Rubio, il Segretario di Stato Usa con radici familiari nell’isola, il quale, però, non ha ritenuto opportuno schierarsi dalla parte del rapper.

Prima di arrivare in America, El Funky era diventato uno degli artisti di punta del movimento di opposizione al regime. La sua storia personale riflette quella di tanti cubani, tra repressione, fuga, speranza ed esilio in Florida.

Eliecer Márquez Duany si fa chiamare El Funky dai tempi in cui da adolescente faceva rap nelle peñas dei quartieri popolari dell’Avana. È nato proprio nella capitale negli anni ’80 e ha scritto il suo primo brano a 16 anni, mischiando il rap alla musica cubana di gruppi come La Charanga Habanera e Los Van Van. Nel 2014 pubblica il suo primo album, The Zombie Flow, e con il tempo si distingue come artista critico nei confronti del governo castrista, fino a diventare membro del Movimento San Isidro, dal nome del quartiere dell’Avana in cui il gruppo si è formato. Si tratta di un collettivo di artisti, giornalisti e intellettuali nato per protestare contro il famoso Decreto 349, la legge che impone l’autorizzazione preventiva del Ministero della Cultura per qualsiasi attività artistica.

Nel 2021 il movimento dà vita alle più grandi proteste contro il regime degli ultimi trent’anni: El Funky, insieme a Maykel Castillo Pérez – più conosciuto come El Osorbo, attualmente detenuto a Cuba proprio in seguito a quelle proteste – Yotuel, Gente de Zona e Descemer Bueno, registra Patria y Vida, un brano che supera il mezzo milione di visualizzazioni in meno di settantadue ore, vince due Latin Grammy e ottiene risonanza internazionale. Il titolo della canzone diventa lo slogan delle proteste ed è una rivisitazione dello storico motto Patria o Muerte in chiave contemporanea: la congiunzione avversativa “o” viene sostituita da una “y” inclusiva; non si nega l’amore per la patria, ma si afferma che la vita ne ha lo stesso valore. “No más mentiras, mi pueblo pide libertad… Ya no gritemos ‘Patria o muerte’ sino ‘Patria y Vida”.
Dopo il successo ottenuto, El Funky lascia Cuba nel 2021 per partecipare alla cerimonia dei Grammy; uomini del regime lo seguono fino all’aeroporto e lo minacciano: «Ti conviene andartene e non tornare più». Dopo la premiazione si rifugia a Miami dove vive tuttora con la famiglia e lavora come addetto alla manutenzione in una scuola elementare. E, nonostante le attuali dure politiche migratorie, soprattutto verso i cittadini latinoamericani, El Funky ha sempre sostenuto il presidente statunitense: «Se avessi potuto votare, avrei votato per Trump. È il presidente più forte quando si tratta di Cuba».

«Probabilmente ci sono troppi cubani qui», ha spiegato di recente dopo l’apertura del caso della sua residenza negli Stati Uniti: «Capisco il tentativo di allontanare chi non ha diritto a restare, ma Trump dovrebbe valutare ogni singolo caso». Con queste parole ha provato a rivendicare la sua posizione, sostenendo di essere uno dei pochi a meritare l’asilo politico in quanto vero anticomunista; a suo dire, la maggior parte dei cubani presenti nel Paese sarebbero invece migranti economici, privi di reali motivi politici per restare.

E c’è chi però insinua che El Funky non sia un vero oppositore castrista, come fa Alain Paparazzi Cubano, un influencer molto seguito su YouTube: il diniego di residenza permanente fatto in base al Cuban Adjustment Act sarebbe collegato ai piccoli reati commessi sull’isola nel 2017, come il possesso di stupefacenti; ma soprattutto, secondo l’influencer, il rapper non sarebbe un vero dissidente. El Funky si difende pubblicando un altro messaggio sul suo account social per contestare le accuse infamanti. Molti rilanciano accusandolo di non essere parte del Movimento di San Isidro: lui risponde con un video in cui incita i manifestanti cantando Patria y Vida durante le proteste antiregime del 2021.

Il 25 maggio 2025 il rapper pubblica l’ultimo messaggio di questa vicenda per rassicurare tutti: “Il caso della mia residenza è stato riaperto”, scrive, precisando di avere molta fiducia nell’amministrazione Trump e nella possibilità di regolarizzare la sua presenza negli States.
Con il supporto di un nuovo team legale, El Funky deve ora decidere come procedere: nel 2021, arrivato negli stati Uniti, i suoi precedenti avvocati gli avevano consigliato il richiedere il parole humanitario CHNV – il permesso attivato da Biden per tutti i cittadini di Cuba, Haiti, Nicaragua e Venezuela – perché più rapido rispetto alla richiesta di asilo; in seguito al parole, avrebbe potuto richiedere la residenza permanente, grazie al Cuban Adjustment Act. Tuttavia, soltanto l’asilo politico gli avrebbe garantito una protezione più solida contro il rischio di deportazione in quanto dissidente. 

Come fa sapere nella sua pagina Instagram, i suoi nuovi avvocati si sono attivati per chiedere l’asilo politico e, in ogni caso, per impedire che il suo ritorno in patria lo esponga al rischio concreto di un regime carcerario duro, sorte toccata al coautore di Patria y Vida, El Osorbo, detenuto presso il carcere di massima sicurezza dedicato agli oppositori politici Kilo 5 y Medio, nella regione di Pinar del Río.

Sono già trascorsi oltre trenta giorni dal post pubblicato l’8 maggio: El Funky è ancora negli Stati Uniti. Viene da chiedersi se abbia messo in dubbio il suo sostegno a Trump, anche solo per un istante.

Intanto, il caso del rapper non è l’unico: Human Rights Watch ha esortato il governo statunitense a garantire la permanenza negli States di altri oppositori per evitare che, una volta deportati a Cuba, subiscano le conseguenze dell’apparato repressivo castrista.

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