Le prime decisioni del tribunale speciale segnano una svolta nel processo di pace colombiano, tra ricerca di verità, giustizia e accuse di impunità
di Luisa Foti
Otto anni dopo la stretta di mano all’Avana tra l’allora
presidente Santos e i vertici delle Farc-Ep (Fuerzas Armadas
Revolucionarias de Colombia – Ejército del Pueblo) in occasione della firma
degli accordi di pace, la Colombia volta pagina con le prime storiche sentenze
della Jep, la Jurisdicción Especial para la Paz. Non si tratta
solo di un verdetto giudiziario: è un passaggio simbolico che mette alla prova
la promessa di una “pace stabile e duratura” fatta nel 2016 dopo oltre
cinquant’anni di conflitto armato. E anche se la firma dell’intesa non ha
significato la fine della violenza – perché in diverse regioni del Paese
restano attivi gruppi dissidenti delle Farc smobilitate e altre formazioni
armate – quegli accordi, e ora anche queste due decisioni, rappresentano un
punto di svolta in un processo di pace per cui il popolo colombiano lotta da decenni.
La Jep, il tribunale speciale, nasce proprio da quell’intesa, da quel sogno di riconciliazione
e ricerca della verità che valse all’ex presidente Santos il Premio Nobel
per la Pace. In un Paese che conta più di 220mila morti, quasi 7 milioni di
sfollati, 45mila sparizioni forzate e tante ferite ancora aperte, la missione del
tribunale speciale è duplice: restituire verità alle vittime e garantire che
crimini sistematici come sequestri, sparizioni forzate, massacri e falsos
positivos non restino impuniti, anche se attraverso modalità differenti da
quelle tipiche della giustizia tradizionale.
Chi sono i sette condannati ex comandanti delle Farc
Sette ex comandanti delle Farc sono stati riconosciuti colpevoli di crimini
contro l’umanità. La condanna, però, non consiste in pene detentive: gli ex
guerriglieri sconteranno otto anni di pene alternative al carcere che consisteranno
in lavori di sminamento, progetti di recupero ambientale, ricerca delle persone
scomparse e iniziative di memoria e verità.
Si tratta di: Rodrigo Londoño Echeverri, conosciuto come Timochenko,
come tributo al maresciallo sovietico Semyon Timoshenko; El Pastor
Alape Lascarro, alias di Milton de Jesús Toncel Redondo, membro del
segretariato, uomo con formazione religiosa; Joaquín Gómez,
storico comandante delle Farc succeduto a Iván Ríos nel Bloque Sur; Jaime
Alberto Parra Rodríguez, detto El Médico perché dottore di
professione, nonché uno dei dirigenti più influenti dell’organizzazione; Pablo
Catatumbo Torres Victoria, comandante del Bloque Occidental, poi
negoziatore all’Avana; Rodrigo Granda Escobar, conosciuto come il
cancelliere dell’organizzazione marxista-leninista per i suoi rapporti
internazionali; infine Julián Gallo Cubillos, alias Carlos Antonio
Lozada, comandante e poi senatore dopo il 2016.
Le reazioni
È la prima volta che l’organo giudiziario speciale, nato proprio per dare senso
alla transizione, emette due sentenze di questa portata, e le reazioni non sono
state unanimi – vale ricordare che lo stesso accordo di pace fu respinto con referendum.
In molti hanno criticato il modello di giustizia riparativa che non prevede
neanche un giorno di carcere per chi si è macchiato di torture, violenze
sessuali, sparizioni forzate e altri crimini contro l’umanità. A far discutere,
inoltre, anche il fatto che i condannati non perderanno i diritti politici: due
di loro, Pablo Catatumbo e Julián Gallo siedono tuttora in Parlamento,
eletti con il partito Comunes, erede politico delle Farc.
«La decisione della Jep è tardiva, ma storica: impone le prime
sanzioni al segretariato delle antiche Farc, in adempimento di quanto stabilito
nell’accordo di pace e nella norma costituzionale» ha dichiarato Juan
Fernando Cristo, ex ministro dell’interno del governo Santos che ha svolto
un ruolo chiave nella negoziazione e nell'attuazione dell’intesa del 2016.
Secondo María Fernanda Carrascal, attivista e parlamentare colombiana,
«La sentenza della Jep è un traguardo di un processo ancora incompiuto, in cui
come Paese cerchiamo di trovare strade per guarire le ferite, scoprire la
verità, avanzare nella riconciliazione e ottenere giustizia».
Vicky Dávila, giornalista e attuale candidata per le presidenziali del
2026, ha invece accusato l’ex presidente Santos in quanto avrebbe «deviato il
cammino» tradendo le vittime e dando impunità ai carnefici. Tenuto prigioniero per
sette anni, unico sopravvissuto tra gli undici deputati uccisi dalle Farc, Sigifredo
López, ha detto che la decisione non rispetta la sua dignità e l'ha
accolta con molta delusione.
Non è mancata la reazione di Íngrid Betancourt: l’ex candidata
presidenziale rapita nel 2002 e tenuta in ostaggio per oltre sei anni nella
selva ha espresso tutta la sua contrarietà – «I criminali sono quelli che oggi
vengono premiati; le vittime restano inascoltate» – e ha annunciato ricorsi non
solo presso la Jep ma anche a livello internazionale.
La verità sui falsos positivos
Accanto alla sentenza sui vertici delle Farc, la Jep ha emesso una
decisione storica anche su un altro capitolo buio: i cosiddetti falsos
positivos.
Per anni, reparti dell’esercito colombiano hanno ucciso civili innocenti
facendoli passare per guerriglieri caduti in combattimento, in cambio di
incentivi e promozioni. Si stima che le vittime siano state circa 6.500.
Dodici ex militari del battaglione La Popa sono stati riconosciuti
colpevoli. Anche per loro la pena non è il carcere ma fino a otto anni di
lavori comunitari: opere di memoria per le vittime e progetti a favore delle
comunità colpite. Per i gradi più alti che non hanno confessato le proprie
responsabilità restano aperti processi ordinari che potrebbero portare fino a
vent’anni di reclusione.
Pace imperfetta, conflitto che continua
Nonostante la riconciliazione del 2016, la Colombia non è ancora davvero pacificata.
Una parte degli ex guerriglieri Farc-Ep non ha mai deposto le armi e la lotta è
confluita in nuove sigle dissidenti che oggi controllano traffici e territori.
Il Paese è tornato sotto attacco: imboscate, sequestri e attentati minano la
sicurezza del Paese, soprattutto nelle aree rurali. Il governo Petro, che ha
fatto della paz total il suo obiettivo, si trova così a trattare con
attori armati frammentati e spesso meno controllabili della guerriglia
originale.
Le tensioni con gli Stati Uniti
Il contesto attuale in Colombia è tutt’altro che stabile: gli Stati Uniti
hanno decertificato la Colombia come Paese impegnato nella lotta al
narcotraffico, accusandola di non fare abbastanza. Petro ha reagito duramente: ha
ricordato le migliaia di vite colombiane sacrificate nella guerra alla droga e
ha sottolineato come la cocaina sia in parte un costrutto economico
dell’Occidente, un fenomeno capitalistico che criminalizza la foglia di coca, simbolo
culturale e identitario per molte comunità andine.
Verità contro giustizia?
La Jep rappresenta un esperimento unico di giustizia transizionale: non una
giustizia puramente punitiva, ma riparativa il cui obiettivo principale è un esercizio
di verità.
Gli accordi di pace non sono stati concepiti per riempire le carceri, ma per
garantire che le vittime e le loro famiglie sapessero che cosa è accaduto ai
loro cari, vivi o scomparsi. Per questo l’intesa si basa su una deroga alla
giustizia ordinaria per mettere la verità al centro. Una verità che, seppur
dolorosa, è il fondamento di qualsiasi riconciliazione. La pace che ne deriva è
imperfetta – ancora da costruire – ma è forse l’unica possibile.
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