È da trentatré anni che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite vota contro l’embargo imposto dagli Stati Uniti a Cuba. Anche il 29 ottobre 2025, la maggioranza dei paesi membri ha approvato la risoluzione che chiede la fine del bloqueo, misura coercitiva unilaterale usata come strumento di pressione politica ed economica, in totale violazione del diritto internazionale.
Quest’anno, però, il voto è stato preceduto da un’intensa offensiva diplomatica americana. Secondo fonti riportate da Reuters, l’amministrazione Trump avrebbe fatto circolare un dispaccio interno del Dipartimento di Stato con istruzioni ai propri diplomatici: convincere il maggior numero possibile di paesi a non sostenere la risoluzione, collegando Cuba alla Russia, e alla guerra in Ucraina.
Gli Stati Uniti sostengono infatti che fino a 5.000 cittadini cubani starebbero combattendo come mercenari al fianco delle forze russe. Una tesi che l’Avana ha definito “menzognera e calunniosa”, accusando Washington di manipolare l’opinione pubblica e di fare pressioni soprattutto sui governi latinoamericani ed europei per sabotare il voto.
Le segnalazioni di cubani sul campo di battaglia ucraino dalla parte di Mosca risalgono al 2023, ma l'Avana aveva specificato che si era trattato di mercenari.
Il governo dell’Avana ha sempre negato ogni responsabilità diretta e ha ribadito di non incoraggiare né autorizzare i propri cittadini a partecipare al conflitto. In più occasioni, il Ministro degli esteri cubano ha affermato che Cuba non fa parte del conflitto in Ucraina, né partecipa con personale militare in alcun paese, e che mantiene una politica di tolleranza zero verso il mercenarismo e il traffico di persone.
Sebbene l’isola abbia posizioni politiche di vicinanza con la Russia, soprattutto in funzione anti-statunitense, l’Avana ha sempre negato di fornire soldati o risorse militari a Mosca, e ha anzi dichiarato di aver avviato procedimenti penali contro i cittadini cubani coinvolti individualmente in attività di reclutamento illegale.
Un voto indebolito
Nonostante la campagna diplomatica statunitense, la risoluzione è stata approvata con 165 voti a favore, 7 contrari e 12 astensioni. Gli Stati Uniti hanno trovato l’appoggio – tutt’altro che inatteso – di Israele, Argentina, Ungheria, Ucraina, Macedonia del Nord e Paraguay. Si tratta comunque di un indebolimento rispetto allo scorso anno, quando la stessa risoluzione era passata con 187 voti favorevoli e soltanto due contrari (USA e Israele). Le pressioni di Washington non sono bastate a bloccarla, ma hanno ridotto il consenso internazionale verso Cuba.
Il rito diplomatico Onu che dura da tre decenni e l'Helms-Burton Act
Dal 1992, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che conta 193 membri, ha adottato ogni anno la risoluzione contro l’embargo, con l’unica eccezione del 2020 durante la pandemia. Tuttavia, si tratta di un atto politico poiché solo il Congresso degli Stati Uniti ha il potere di revocare formalmente le sanzioni economiche imposte all’isola dai tempi della Guerra Fredda.
Così come ricordato nel testo della risoluzione, il cuore dell’embargo è l'Helms-Burton Act, approvato il 12 marzo 1996, che ha trasformato in legge federale le sanzioni già imposte a Cuba dagli anni Sessanta, rendendone la revoca possibile solo con un atto del Parlamento. La legge ha ulteriormente rafforzato le restrizioni, vietando a cittadini e imprese statunitensi qualsiasi rapporto economico con l’isola e introducendo anche misure extraterritoriali.
È questa legge, simbolo del prolungato isolamento di Cuba, a mantenere in vita l’embargo e a suscitare ogni anno la condanna quasi unanime delle Nazioni Unite.
La campagna Usa
Secondo il dispaccio diplomatico rivelato da Reuters, l’amministrazione Trump mira a «ridurre significativamente» i voti a favore di Cuba, affermando che la risoluzione «accusa in modo errato gli Stati Uniti dei problemi dell’isola, che derivano dalla corruzione e dall’incompetenza del regime».
Il documento incoraggia i diplomatici americani a votare contro la risoluzione che chiede la fine dell'embargo, ma accetta anche astensioni o assenze come risultato utile. Parallelamente, Washington avrebbe condiviso con i suoi alleati presunti dettagli sul coinvolgimento di cittadini cubani nel conflitto in Ucraina per sostenere la narrativa anti-Avana.
Il governo cubano, da parte sua, respinge ogni accusa e ribadisce che le difficoltà economiche che attraversa l’isola, tra scarsità di beni, infrastrutture al collasso e inflazione, sono conseguenza diretta di oltre sessant’anni di embargo statunitense, “una forma di punizione collettiva” che continua a violare il diritto internazionale.
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